estratto di un articolo per il corso in Sociologia della Cultura dell’Università degli Studi di Milano Bicocca.
L’originale e la bibliografia si trovano qui
Nel febbraio del 2012, in occasione del Carnevale Ambrosiano, la Giunta del Comune di Milano ha emesso un bando per l’organizzazione della tradizionale festa nelle piazze centrali della città, connotando la richiesta di proposte come “Carnevale dei Popoli” e richiedendo il coinvolgimento delle associazioni di cittadini di origine straniera presenti a Milano. La scelta di strutturare il bando in questo modo si colloca all’interno di una serie di iniziative che la Giunta ha messo in atto per incentivare la partecipazione attiva delle associazioni che riuniscono le persone di origine straniera. Infatti, tra i vari motivi che escludono la loro partecipazione alla vita sociale della città, vi sono barriere di tipo culturale che li allontano sia dai luoghi decisionali che dai luoghi della festa. In questo senso, l’Assessorato alla Cultura ha istituito un Forum con i rappresentanti delle associazioni che vuole essere un canale privilegiato per interloquire nella costruzione delle politiche della città e, come in questo caso, delle iniziative e degli eventi che caratterizzano il Comune. Parliamo dunque di cittadini di origine straniera che hanno già svolto buona parte del loro percorso di inserimento nelle dinamiche culturali della città e che si configurano in alcuni casi come veri e propri rappresentanti politici.
Il progetto che ha vinto il bando per il Carnevale dei Popoli è stato presentato da Arci Milano, che si è fatto promotore della rete di associazioni che hanno animato durante la giornata del 25 febbraio le 7 piazze centrali che il Comune aveva individuato per gli spettacoli e le rappresentazioni. Con la costruzione di questo evento, Arci Milano voleva anche dare un segnale del proprio modo di intendere l’incontro con le culture e il lavoro con le associazioni di origine straniera; questo, insieme alla volontà politica della Giunta, costituiscono due elementi importanti per l’analisi dell’impostazione che è stata data alla struttura del programma dei festeggiamenti. […]
Il Carnevale è una festa che risulta essere ancora molto partecipata in diverse città, e a Milano, con la sua specifica di “Ambrosiano”, collocato 4 giorni dopo il resto di Italia, assume un significato particolare. È un momento in cui i cittadini milanesi si ritrovano nella vie centrali e nelle piazze principali dei vari quartieri, un momento in cui farsi vedere e instaurare relazioni per lo più casuali e di breve durata, in particolare i bambini, costituisce un modo per strutturare un senso di vicinato, inteso come le forme sociali che costituiscono una comunità caratterizzata dalla concretezza e dal potenziale di riproduzione sociale in un contesto di località (Appadurai, 1996). Soprattutto per le famiglie con figli che colgono l’occasione per mascherarsi, partecipare alla festa praticando le proprie relazioni di vicinato è un atto quasi imprescindibile. Il Carnevale infatti viene percepito come una festa ben diversa da quelle in cui tradizionalmente ci si ritrova con la famiglia, poiché assume significato nel momento in cui viene condiviso con persone solitamente estranee. Vi è dunque un aspetto importante legato alla propria rappresentazione di sé, inteso nell’uso di Goffman, che come vedremo si è rivelato rilevante anche per gli attori delle performance del Carnevale dei Popoli. […]
L’impostazione che era suggerita nel bando del Comune ed è stata data da Arci Milano voleva richiamare gli elementi delle feste tradizionali dei vari popoli del mondo. Da parte del Comune è stato espresso il desiderio che ci si riferisse soprattutto a feste simili al Carnevale, ma la realtà delle feste tradizionali del mondo rivela la particolarità di una festa come il Carnevale, con ben poche situazioni confrontabili e quasi tutte a loro volta importate da un paese europeo. La mancanza di una rappresentazione condivisa sul senso del Carnevale stesso e questa difficoltà di trovare un riferimento con le festività della propria cultura ha generato alcuni equivoci in fase di selezione dello spettacolo da realizzare. Come spiega D., ballerino togolese: “Quando mi hanno chiesto di fare uno spettacolo per il Carnevale ho pensato a portare la gioia, ho pensato ai ballerini, alla samba, ai colori, e quindi ho preparato una danza che esprimesse la gioia e l’energia”. In ogni caso questo tentativo di cercare feste similari rappresentava un equivoco a monte, impossibile da risolvere: in molte culture non esiste alcuna festa paragonabile al Carnevale, il che ha obbligato chi ha scelto di avere questa impostazione ad utilizzare rappresentazioni spettacolari che provengono da riti in alcuni casi molto distanti come contesto e significato nella loro cultura di origine. Il più delle volte il criterio era legato alla forma spettacolare che il rito assume: un ballo di piazza, un corteo, l’utilizzo di costumi e maschere, sono stati tutti elementi che hanno connotato le performance che hanno costituito il Carnevale dei Popoli. […]
La situazione dunque vedeva in un contesto già di per sé rituale la compresenza di azioni spettacolari e pratiche provenienti da diversi rituali con i loro potenziali carichi di significati, per fare qualche esempio danze dal Voodoo africano e dalla Santeria cubana, la Diablada dal Carnival de Oruro sudamericano, le danze e i canti dell’Esala Perahera cingalese e altri ancora. È evidente come una situazione di questo tipo sia soggetta ad una naturale composizione polifonica, ma anche potenzialmente polisemica. Attori che normalmente hanno praticato questi riti nei loro contesti originari, attribuendogli i significati che tradizionalmente ricoprono, si sono ritrovati a svolgere la propria azione spettacolare in un contesto completamente avulso, avendo anzi l’imposizione di una cornice definita dal significato che la collettività attribuisce alla festività e una precisa volontà da parte di chi aveva promosso la manifestazione. Il rischio più grosso era rappresentato dalla riduzione delle performance a puri aspetti folkloristici, sia da parte degli spettatori che da parte degli attori, rischio incrementato proprio dalla percezione del Carnevale come luogo della festa in maschera, e dunque del travisamento e dello scherzo. Per quanto non si possa negare che l’aspetto spettacolare fosse una componente importante, in alcuni casi dominante, dall’altra parte nella molteplicità dei significati attribuiti vi si poteva individuare certamente un significato che ha accomunato gli attori dato dal compiere queste azioni tipiche della propria cultura di origine nelle piazze centrali della propria città di residenza: “Per noi è una cosa bella poter fare questi spettacoli nel centro di Milano, ci fa sentire più milanesi, perché noi siamo milanesi, no? Ci teniamo alla nostra cultura, alla nostra lingua, ma siamo italiani, milanesi, i nostri figli sono nati qui e studiano qui, imparano sia il bengoli che l’italiano” (M., dirigente associazione dei cittadini del Bangladesh). Da questo punto di vista è interessante considerare i tipi di discorso attorno a identità e differenze culturali individuati da Quassoli (2006) che evidenziano i limiti che possiede anche una visione political correctness o eccessivamente ed ingenuamente entusiastica nei confronti delle società multiculturali. La partecipazione attiva delle associazioni nella fase ideativa e costruttiva del Carnevale dei Popoli ha reso l’evento importante soprattutto per i cosiddetti nuovi cittadini che tramite ciò hanno sentito maggiormente la propria col alla struttura sociale. Non si è trattato in questo caso di organizzare qualcosa “per gli immigrati” o “per parlare degli immigrati”, ma di dare la possibilità di confermare la propria cittadinanza attiva e di costruire quei legami sociali che determinano poi la piena appartenenza al tessuto sociale della città. […]
Il Carnevale dei Popoli può dunque essere visto come un rituale civile per l’elaborazione del confine di un vicinato (Appadurai 1996) che si collocherebbe come località in tutto il territorio della città di Milano e probabilmente anche della sua area metropolitana. In questo senso, la scelta di promuovere un Carnevale strutturato in questa maniera e di rappresentare questo tipo di idea delle relazioni tra le culture può essere interpretato come un rito fondativo delle relazioni di potere della nuova Giunta, che nel primo anno del proprio mandato ha la necessità di compiere atti che definiscano e alimentino la propria idea di città. La prospettiva del ribaltamento sociale che il Carnevale si porta dietro non viene dunque utilizzata contro il potere, ma è il potere stesso che la fa propria per sostituirsi agli immaginari precedenti, evidenziando però in questo modo l’aspetto di particolarità ed eccezionalità della partecipazione attiva dei cittadini di origine straniera che dovrebbe invece poter costituire la quotidianità di una città come Milano. Quello che emerge dallevoci dei rappresentanti delle associazioni e dagli attori delle azioni spettacolari è l’importanza di elementi simbolici per la costruzione della loro identità di appartenenza che si definisce rispetto alla propria condizione di cittadino, la quale diventa tale solo nel momento in cui sono legittimati gli spazi di partecipazione e il riconoscimento da parte degli altri cittadini. Il Carnevale dei Popoli per loro ha dunque rappresentato in questo senso un’esperienza importante nella definizione di senso che rapporta la propria condizione con quelli degli appartenenti a pieno titolo alla struttura sociale della città, nella continua di ricerca di essere considerati come membri competenti di un campo culturale che vogliono contribuire a sviluppare.